Maurizio Galimberti
Il Mosaico del Mondo

La Galleria13 è lieta di annunciare l’apertura della mostra “Maurizio Galimberti – Il Mosaico del Mondo” che inaugurerà sabato 11 Ottobre alle ore 17:30 nella sede della galleria in Via Roma 34/b, Reggio Emilia, e che sarà visitabile con ingresso gratuito fino al 30 Novembre 2025.
In mostra saranno esposti mosaici da varie parti del mondo, Parigi, New York, Milano, e decine di singole polaroid.
Maurizio Galimberti è un fotografo italiano di fama internazionale, noto per il suo approccio unico e sperimentale all’immagine, in particolare per l’uso creativo dell’istantanea, sua cifra stilistica.
Nato nel 1956 a Como, Galimberti ha saputo costruire un linguaggio visivo personale, capace di fondere fotografia, pittura e frammentazione cinematografica.
Galimberti elabora una tecnica personale basata sull’accostamento di più immagini istantanee, dando vita a veri e propri mosaici fotografici nei quali è facile riconoscere l’influenza di grandi maestri come Umberto Boccioni e Marcel Duchamp. Nelle sue composizioni il soggetto viene decostruito e riassemblato secondo un procedimento matematico e rigoroso che richiama l’armonia di una composizione musicale.
Uno dei temi più affascinanti del lavoro di Galimberti è il suo rapporto con le città. In opere come “Viaggio in Italia”, “Paris”, “New York” o “Milano”, l’artista interpreta il paesaggio urbano non come semplice documentazione, ma come ritratto emotivo e architettonico dell’anima del luogo. Le città, sotto il suo sguardo, si trasformano in composizioni poetiche fatte di geometrie, luci e ombre, visioni moltiplicate che sembrano respirare.
Le sue fotografie urbane non sono mai statiche, sembrano sempre in movimento, quasi come fotogrammi di un film mentale, e costringono lo spettatore a ricostruire mentalmente la totalità dell’immagine. Questo coinvolgimento attivo dello spettatore è una delle caratteristiche più forti del suo linguaggio visivo.
Maurizio Galimberti ha saputo elevare la fotografia istantanea a forma d’arte complessa, dimostrando che anche un mezzo considerato “minore” può veicolare contenuti profondi e visioni originali.
Il tratto distintivo del lavoro di Maurizio Galimberti è senza dubbio la composizione a mosaico, una tecnica che ha reso celebre il suo stile e che lui stesso ha sviluppato con originalità a partire dall’uso della Polaroid SX-70, una macchina fotografica analogica a sviluppo istantaneo. Questo strumento, apparentemente semplice e “popolare”, nelle sue mani diventa mezzo di una ricerca estetica raffinata e concettualmente complessa.
Galimberti non fotografa un soggetto in un solo scatto: al contrario, lo “smonta” in decine di fotografie singole, scattate da prospettive leggermente diverse.
Ogni immagine è come una tessera di un puzzle, e solo nel momento della ricomposizione — fisica, materiale — il soggetto torna a esistere, ma in una forma nuova e alterata. Questo processo produce una visione frammentata ma dinamica, che suggerisce il movimento del tempo, lo sguardo in trasformazione, la memoria visiva che si ricompone in modo non lineare.
Nei suoi emblematici Grattacieli di New York, queste torri di vetro, acciaio e luce non appaiono semplicemente come elementi architettonici ma, nella disposizione frammentata delle Polaroid, assumono una qualità visiva ritmica, quasi come note disposte su un pentagramma. Ogni tassello che mostra un dettaglio di facciata, una finestra, un riflesso, un angolo di cielo o un tratto di skyline, ha peso visivo, intensità e posizione, proprio come una nota musicale: c’è chi riposa, chi tiene un ruolo di melodia principale, chi arricchisce con armonici o sovrapposizioni.
L’effetto è che il mosaico non è solo visivo ma “sonoro” dentro la percezione dello spettatore: i grattacieli diventano come archi che si innalzano, scale ascendenti (o descendenti) che modulano luci e ombre, pause tra le costruzioni, accelerazioni date dalla densità verticale.
Questo paragone con uno spartito aiuta a capire quanto la composizione di Galimberti non sia solo un collage visivo, ma una costruzione attentissima del tempo visivo: il modo in cui lo sguardo percorre il mosaico, si sofferma su certi dettagli, salta da un elemento all’altro, è molto simile a come l’orecchio segue una melodia, attende l’accordo successivo e riconosce il tema nella sua totalità.
La Torre Eiffel
Un altro soggetto presentato in mostra è la Torre Eiffel.
Icona della modernità europea, dell’arte e della tecnica, la torre parigina viene interpretata non come semplice monumento statico, ma come struttura viva, sospesa tra cielo e terra. Nel mosaico, la Torre Eiffel appare ricostruita in frammenti, come se fosse un sogno che si compone nella mente. La sua silhouette, conosciuta in tutto il mondo, si frantuma e si moltiplica, mostrando le sue trame metalliche, i giochi di luce, l’ombra dei dettagli che nella visione quotidiana sfuggono.
Anche in questo caso, Galimberti non è interessato alla fedeltà realistica, ma all’esperienza visiva ed emotiva. Il mosaico è il mezzo attraverso cui lo spettatore è invitato a riscoprire un soggetto familiare, come se lo vedesse per la prima volta, con occhi nuovi.

La Polaroid singola come atto artistico
Nel lavoro di Maurizio Galimberti, ogni Polaroid è molto più che un frammento fotografico: è una micro-composizione autonoma, un’unità espressiva dotata di valore estetico e poetico. Pur essendo concepita molto spesso per entrare in dialogo con le altre immagini del mosaico, la singola Polaroid, per Galimberti, è un luogo di sperimentazione diretta, dove la fotografia si fa pittura, disegno, gesto.
Dopo aver scattato, Galimberti interviene sull’immagine manualmente, nel breve arco di tempo in cui l’emulsione fotografica è ancora sensibile e malleabile. Utilizza bastoncini, stuzzicadenti o altri strumenti sottili, spesso anche le dita, per incidere, spostare o deformare i pigmenti ancora vivi sotto la superficie. Questo processo, definito manipolazione a caldo, permette all’artista di modellare l’immagine come materia plastica, agendo direttamente sulla sostanza della fotografia, quasi fosse pittura fresca su una tela.
L’effetto visivo che ne deriva è una trasformazione poetica del reale: i contorni si sfumano, i volti si ammorbidiscono o si distorcono, le architetture si piegano e vibrano. L’immagine smette di essere una semplice registrazione ottica e diventa interpretazione emotiva. La manipolazione non mira alla correzione tecnica, ma alla trasfigurazione soggettiva, rivelando un rapporto intimo e fisico tra artista e immagine.
Ogni scatto è irripetibile non solo per la natura stessa della pellicola istantanea, ma anche perché porta i segni manuali dell’artista, come impronte o tracce gestuali. È un ritorno alla tangibilità dell’opera, dove il fare artigianale si unisce alla visione contemporanea.

Opere in mostra







