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Denis Curti

Gli oracoli di Cattani
Volubili frammenti
C’è un intuibile che devi cogliere con il fiore dell’intuire, perché se inclini verso di di esso il tuo intuire, e lo concepisci come se intuissi qualcosa di determinato, non lo coglierai. è il potere di una forza irradiante, che abbaglia per fendenti intuitivi.
Non si deve coglierlo con veemenza, quell’intuibile, ma con la fiamma sottile di un sottile intuire che tutto sottopone a misura, fuorché quell’intuibile; e non devi intuirlo con intensità ma – recando il puro sguardo della tua anima distolto – tendere verso l’intuibile, per intenderlo, un vuoto intuire, poiché al di fuori dell’intuire esso dimora.
Oracoli Caldaici,
Framm. 1

Ho guardato a lungo le foto di Cattani. Pezzo per pezzo. Senza didascalie. Cercavo nel mio ricordo il nome, l’autore, la data. Erravo, ma i riferimenti e le rievocazioni si annodavano da sole e casualmente.
Cattani, da vent’anni fotografo, all’inizio di cronaca e di politica, aprì nel 1984 il suo studio. Dal 1990 incominciò la sua ricerca. Si occupò di jazz prima, dei luoghi dell’arte poi. Tema che lo affascinò al punto da fondersi in lui in una forma molto personale: lui la sostanziò di e-mozioni. E se Giorgio Caproni descrisse il poeta come “minatore”: “È poeta colui che riesce a calarsi più a fondo in quelle che il grande Machado definiva las segretas galerìas del alma, e lì attingere quei nodi di luce che, sotto gli strati superficiali diversissimi da individuo a individuo, sono comuni a tutti anche se non tutti ne hanno coscienza”, e se disse che il poeta-minatore scova “quei nodi di luce che sono non soltanto dell’io, ma di tutta intera la tribù”, allora ricorrerò a quelle parole in senso letterale, poiché qui ci sono nodi di luce che si sviluppano come nastri nella scatola nera del museo. Nastri su cui rimane impresso il segno del presente nel solco del passato. Qui la protagonista (smontata dall’osservatore distratto) è la simultaneità.
Cattani ha privilegiato la scultura (classica, romana, greca, antica) e i siti archeologici.
Ha scelto la polaroid, poiché restituisce l’idea della copia unica, del dagherrotipo. Lo sviluppo immediato consente istantaneamente di confrontare luci, sensazioni, ombre. Le sequenze si costituiscono sul posto e la selezione non segue la regola dell’inventario. L’aspetto puramente didattico dei soggetti non prevale nei suoi studi. Lui non vuole sentir dire “che bella foto della Venere… Sembra vera”. Lui vuole che la Venere si muova.

E allora, rivolgendomi ancora alla sua opera, con la fiamma sottile di un sottile intuire che tutto sottopone a misura, fuorché quell’intuibile, intuisco quel movimento. E vedo un gesto non più pietrificato e spezzato, ma teso. Vedo i secoli prima e dopo Cristo. Vedo l’immobile e poi il cangiante. Vedo una lacuna imprimere l’assenza, e generare iterazione e continuità in un’ottica sublime, obliqua. Vedo statue che l’intaglio strappò dalla massa, farsi luce. Quei corpi che si ritraevano a ogni sbalzo dalla vita che incorniciavano, per mimarla, li vedo sorgere e rilucere come un guscio corallino in una luce monocromatica. Vedo la spirale di citazioni secrete e svincolate dalle didascalie, moltiplicarsi e librarsi dal buio come esoscheletri calcarei da un fondale oceanico. Vedo Segni-semi del passato che affiorano dall’ombra di una dimensione ulteriore. Vedo un lavoro teorico e riflessivo in cui come epifanie di divinità, le figure brillano di luce propria e sembrano essersi fatti da sé.[1] Nelle sue triadi e nei suoi dittici, Cattani riversa e armonizza secoli lontani. Con le sue composizioni segue la traccia di quel gesto interrotto. La sua opera è triplice e dialettica. Nella dispersione e nella scomparsa fanno da contrappunto consonanze tra intensioni ed estensioni: e la stasi, immortalata, genera un flusso.

Cattani si occupa del sêma non nel senso platonico (sôma-sêma, corpo-tomba), ma quale “segno” di uno spirito itinerante che si cerca nella materia.
I frammenti, su cui ritaglia la sua catena metonimica, appartengono a un’integrità perduta che la nostalgia non ripristina e di cui Cattani tesse una filigrana pigmalionica. L’orientamento si identifica a partire dalla proiezione della statua (è il potere di una forza irradiante, che abbaglia per fendenti intuitivi…) e si organizza sinteticamente, raccogliendo quella e-mozione.
Così scorgo un innesto della drammaticità scultorea nella immobilità bidimensionale: un segno dinamico, poetico e cinematografico.

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