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Marino Iotti

Marino Iotti

Marino Iotti nasce a Reggio Emilia nel 1954, e ancora giovanissimo dà inizio a un percorso pittorico che arriverà ad interessare autori come Achille Bonito Oliva, Claudio Cerritelli, Giuseppe Berti, Marinella Paderni, Massimo Mussini e Sandro Parmiggiani. Apprende le basi tecniche frequentando i corsi che il Prof. Giulio Soriani teneva alla Piccola Accademia di Regina Pacis, e successivamente con lo scultore Ugo Sterpini.

Nel 1978 inizia la sua attività espositiva a Scandiano (RE) con “Studio aperto”, uno studio/galleria che voleva essere punto di incontro e confronto tra gli artisti. Anche se sempre più affascinato dalla pittura aniconica, Iotti dedica una parte dei primi anni Ottanta allo studio della pittura italiana del Novecento. Numerosi sono i ritratti dipinti, dalla forte impronta psicologica, ispirandosi ad artisti come Casorati, Funi, Sironi. Studio che consente all’artista di rafforzare le proprie capacità tecniche. Ma è con artisti come Graham Sutherland e Giacometti, che avviene il graduale passaggio ad un linguaggio dapprima simbolico (con temi quali l’ecologia e l’orrore per la guerra) per passare poi ad una pittura astratto/informale.

L’incessante ricerca è il dato che caratterizza tutta l’opera di Marino Iotti; una ricerca continua, mai forzata e sempre in divenire, uno studio appassionato dei sottili equilibri che il colore ed il segno possono ancora trasmettere.
Nell’ultimo decennio inizia la collaborazione con la Saletta Galaverni di Reggio Emilia, dove presenta due personali nel 2004 e nel 2009, e con la Galleria Nickel di Seebruck in Germania, dove espone nel 2002 e nel 2004 più altre mostre collettive.
Altre mostre significative: nel 2002 “Infinite Voci” nella Rocca di Scandiano; nel 2005 “Quel nulla di inesauribile segreto” Chiesa della Madonna a Cast Sotto; nel 2007 “Racconti interiori” Spazio Tadini di Milano; nel 2008 “Nel segno della Natura” Sede del Parco nazionale dello Stelvio – Prato allo Stelvio (Bz); nel 2011 ” Risonanze del Visibile” Chiostri di San Domenico Reggio Emilia, “La complessità del frammento” Galleria Meridiana, Pietrasanta – “Scartches” Galleria Marelia, Bergamo; nel 2012, “90 artisti per una bandiera” Chiostri di San Domenico Reggio Emilia, Palazzo Ducale di Modena, Complesso del Vittoriano, Roma 2013; nel 2014 Triennale di Roma; Galleria 13, Reggio Emilia.

Opere pittoriche in galleria

20 X 20

La poetica di Marino Iotti si lega direttamente ai maestri storicizzati del movimento astratto-informale italiano ed internazionale, trovando tuttavia una sua originalità pregna di lirismo e musicalità. La musica difatti è il motivo conduttore di un “fare pittura” autentico, che prende spunto dal paesaggio circostante e lo rielabora col pensiero. Una modalità giocata sulle stratificazioni di legno, materia, stoffe dipinte che vanno ad assemblarsi in composizioni geometriche e tasselli di colore, mostrando un eccellente equilibrio compositivo. Quadri come “taccuini”, come appunti presi dal vero nel quotidiano, schizzi impressi sulla tela che vanno a comporre giorno dopo giorno l’opera finita nello studio del pittore.

Nel 1994 la Galleria 13 propose al pittore moderno Franco Rognoni di realizzare in esclusiva dei quadri ad olio in formato 20x20cm. L’idea, in contrasto con la diffusa tendenza a realizzare opere sempre più grandi, voleva affrontare il tema della mancanza di spazio nei piccoli salotti della media borghesia, e allo stesso tempo, dimostrare che era possibile realizzare lavori di grande qualità e raffinatezza anche in piccole dimensioni, cosa in realtà non semplice.
Il problema degli spazi è un tema ancora attuale, si è deciso quindi di riproporre questa sfida, ma in chiave contemporanea, al pittore Marino Iotti, che ha realizzato per noi cinquanta “20×20”.
Questi piccoli capolavori sono stati raccolti in un catalogo ragionato, con testo critico di Sandro Parmiggiani, stampato in 500 copie numerate.

Testi critici

Testo critico
di Claudio Cerritelli, 2007

Prima di ogni tipo di approccio, il lettore di questi dipinti di Marino Iotti acquisisca il ritmo del segno che cresce nella dimensione fisica della materia, entri a far parte dei movimenti che scalfiscono la superficie, si disponga all’ascolto delle segrete atmosfere che lambiscono la pelle del colore creando infiniti contatti tra l’occhio e il mondo.
Le cose che contano sono le figure che s’intravedono tra le luci della natura, le forme esili che dal visibile sconfinano nell’invisibile, i giardini entro cui si sprigionano minimi bagliori, lievi accensioni e oscuri recessi nelle sonorità del colore interiore.
Nei suoi racconti alle fonti della natura Iotti non ha bisogno di inventare un nuovo linguaggio, la profonda estensione della pittura è già sufficiente a sostenere queste pagine di diario, intuizioni quotidiane capaci di suggerire altri spostamenti dentro l’ambivalente costruzione dello spazio.
Una forma centrale, un impulso ascensionale, uno spiraglio di luce in mezzo al fermento della materia: quasi sempre questo tipo di astrazione figurale è la metafora del poeta funambolo che oscilla nel vuoto, spirito libero dagli affanni del tempo, eppure legato al bisogno di purificare le cose che circondano la vita e soffocano l’anima.
Il rosso è una traccia indelebile in questo spazio calamitante di energie contrapposte, domina sul bianco e sull’ocra, accende i viola e gli azzurri, non si attenua neppure di fronte alle incursioni del blu e del nero, eterna dialettica di valori luminosi contrastanti e, proprio per questo, inesauribili.
In alcune opere questa centralità si dissolve in zone dislocate ai lati della composizione, geometrie materiche sollecitate da tensioni trasversali, come se Iotti volesse giocare su figure distanti, sottrarsi alla centralità simbolica della forma e accentuare il senso di frantumazione dello sguardo.
Tuttavia, l’artista non perde mai di vista i ritmi musicali e gli accordi cromatici, orchestra con sapienza le risonanze luminose e gli aloni d’ombra che insieme concorrono a trasformare le angosce esistenziali in slanci vitali, le fantasie segrete in limpidi sogni cromatici.
Tale è – infatti – il clima di queste opere recenti dove le relazioni tra l’umore primario del colore e la graffiante gestualità del segno raggiungono esiti di sottile equilibrio, rivelazioni di trasparenze luminose e di segrete stratificazioni che la pittura di Iotti esplora da sempre, consapevole che ogni immagine è traccia di vita rivolta verso l’altrove.

Una pittura in cammino
di Sandro Parmiggiani, 2015

Nella commissione, fatta ad un artista, di realizzare una serie di opere della stessa dimensione – in questo caso assai piccola, trattandosi di dipinti che misurano venti per venti centimetri – si annida un’insidia: che l’artista svolga un lavoro di routine, accontentandosi di replicare i nuclei fondamentali del suo linguaggio, in qualche modo proponendo una sorta di mini-antologia del suo percorso. Va subito detto che in questa occasione – come in quella precedente, che vide diciannove anni fa Franco Rognoni cimentarsi con una serie di opere dello stesso formato, felice esperienza cui questa iniziativa vuole ricollegarsi – Marino Iotti si è sottratto al pericolo. Come documenta questo volume, l’artista ha preparato dipinti che sono si una rivisitazione e una riformulazione del suo linguaggio e della sua sintassi, ma sono sopratutto – credo anche in ragione dell’insolito piccolo formato quadrato -un tentativo di verifica delle possibilità di sviluppare, combinandoli in maniera nuova, gli elementi della sua pittura degli ultimi vent’anni.
Se ripercorriamo l’evoluzione dell’opera di Marino Iotti – documentata ad esempio, nella mostra antologica, a lui dedicata, nei Chiostri di San Dmenico di Reggio Emilia nella primavera del 2011-, vediamo che nei vent’anni allora presi in esame, ricompresi tra il 1990 e il 2010, mutano, pur nella coerenza e nella fedeltà a un linguaggio che ormai lui sente come il suo peculiare, le modalità gestuali di stesura del colore, che determinano diverse configurazioni dell’opera: dai vortici e dalle turbolenze iniziali, che presto accolgono l’irruzione del segno (fendenti che squarciano lo spazio; elementi decorativi che s’involano e si replicano), alle segmentazioni verticali, stele sulle quali s’inscrive un brulichio di segni di un alfabeto del mistero; dalle forme tendenzialmente quadrate o rettangolari che si vanno a collocare, sempre all’interno di un impianto sostanzialmente legato alla verticalità, in incastri e disposizioni di varia configurazione, fino al sempre più frequente ricorso, verso la fine del primo decennio di questo secolo, a una struttura più insistentemente caratterizza da segmentazioni orizzontali, con un lembo di orizzonte, magari confinato in alto, nel margine superiore dell’opera, quasi ad esprimere una tensione alla visione di una sorta di paesaggio. All’interno di questa evoluzione, se ne potrebbero individuare alcune altre, legate all’utilizzo della materia pittorica, che nell’opera di di Iotti è venuta assumendo un ruolo primario, una materia ora compatta ora squamantesi (quasi a rappresentare, insieme, una sua intima dissoluzione e l’esigenza di cogliere brividi di luce che, come lucciole, possono sorgere al suo interno), e che può alternativamente rifulgere levigata, nella veste dei colori che l’artista ha scelto di darle, od accogliere nel suo grembo graffiti, segni di varia natura e consistenza. Aggiungiamo che, nel tempo,
l’artista ha fatto ricorso all’inserimento di altri materiali, quali frammenti di schegge di legno, tessuti magari damascati, e così via. Iotti s’affida a tanti colori, adottando ora toni meno accesi ora fortemente caratterizzati, quali il giallo, il rosso, il blu, il verde, anche se c’è, in tutto il suo percorso, e ancor più nettamente in questi piccoli dipinti ultimi, un costante ricorso al nero, un colore ti totale radicalità e assolutezza rispetto a tutti gli altri che compongono la scala cromatica. Credo che Iotti si affidi al nero non tanto per un’esigenza di contrappunto, alla ricerca di una qualche forma di “eleganza” quando lo accosta a qualche altro colore, ma come espressione di valori specifici, pittorici e sentimentali – il nero non esprime assolutamente il vuoto, ma il luogo di infinite vite e di misteri non ancora svelati, come testimonia del resto il fatto che lo si intraveda affiorare sotto le stesure del colore: il nero come termine ed origine di tutto ciò che a noi sulla superficie si mostra.

Fatta questa doverosa ricognizione, lasciamo scorrere sotto i nostri occhi la sequenza dei piccoli dipinti riprodotti in questo volume. La loro dimensione non sacrifica affatto la complessità della composizione, anche se forse, rispetto a quadri più grandi , Iotti riesce a inoltrarsi nei territori di una lirica, rigorosa essenzialità – abbiamo dunque la riconferma che la qualità e il valore di un’opera non sono affatto meccanicamente legati alle sue dimensioni. Se analizziamo questi dipinti, possiamo notare che, sul bordo superiore, si è insediato una sorta di orizzonte “alto”, caratterizzato da una o due sottili strisce (un colore steso su un supporto o affidato a un frammento di legno), elemento che, non casualmente, viene spesso replicato in basso e contrappuntato con qualche analoga forma, magari percorsa da puri segni di ignota decifrazione, che si sviluppa sui lati verticali. Al centro dell’immagine, ecco che si dispiegano delle forme geometriche, di varia consistenza, i cui confino sono scanditi da linee o sanciti dalla forza di un colore, forme navigate da segni spesso neri, con un piccolo elemento geometrico, talvolta ancora nero, altre volte di un colore diverso (raramente con qualche figura incisa al suo interno), che subito cattura lo sguardo: nucleo pulsante che irradia mistero. Nel corpo centrale dell’opera di dipanano linee curve, frammenti di una forma che tende a fuoriuscire dalla superficie, oppure si delineano in riquadri, talvolta di antico impianto verticale. Al di là della soluzione compositiva, Iotti sciorina, con la consueta perizia, colori sontuosi (gialli, rossi, blu, verdi) e colori che parlano con una voce più dimessa (grigi), ma non meno nitida e comunque sempre affascinante; altrettanto vario è il repertorio dei segni tipici dell’artista, che spesso rimano sulla superficie dell’opera.
La linea alta dell’orizzonte, quella in basso e quelle laterali, paiono circoscrivere e stringere d’assedio il nucleo centrale del dipinto, quasi a contenderne l’espansione, come se fossimo di fronte alla metamorfosi di una realtà plastica in divenire, che va ricercando una sua propria forma e definizione, assestandosi entro i confini dell’opera. Emerge nitidamente, nei piccoli dipinti di questa serie, una sorta di segmentazione “geologica”, come se in queste rappresentazioni, in cui l’aperta allusione al “paesaggio”, soprattutto in relazione all’orizzonte che in alto continuamente s’insinua, si fondessero ciò che noi vediamo dentro la luce del mondo e ciò che, ignoto, se ne sta, nel grembo del buio, sotto di noi, e come se dunque tra ciò che è esterno e ciò che è interno, tra ciò che è proprio del mondo e ciò che s’agita dell’interiorità più remota, si desse una misteriosa corrispondenza che solo un’immaginazione visionaria può svelare. Paiono, in questi paesaggi, fondersi due motivi: la memoria dello sguardo sulla natura che riaffiora da un tempo lontano, dopo essere stata contaminata, nel transito dell’oscurità verso la luce, dalla fantasia, e segnata, nella fase della rappresentazione, da una costante tensione all’essenziale; la memoria della pittura, che sempre bussa alla porta mentre Marino se ne sta davanti alla tela.

Nell’ormai lungo percorso pittorico di Iotti si potevano leggere alcuni riferimenti artistici cui l’artista può avere guardato, che già abbiamo avuto occasione di esplicitare in un testo di dieci anni fa, ai quali crediamo ora doveroso aggiungere quelli di Nicolas De Staël e di Victor Pamore. Non è stata dunque, questa impresa dei “venti per venti” di Marino Iotti, una stanca rivisitazione di ciò che è stato, ma un cammino che tiene assieme la memoria del passato e la tensione dell’inesplorato: una sorta di accumulo di energia per inoltrarsi in nuovi territori, che, forse, avranno le sembianze di una più insistita tensione alla semplificazione e all’essenzialità delle forme e che, magari, adotteranno soluzioni non insensibili al fascino di una pur larvale astrazione.

Dal catalogo “Naturali Silenzi”
di Achille Bonito Oliva, 2013

Parlare del silenzio è un po’ come violarlo, ma a volte mettendo la propria interiorità davanti alle parole, con accorta delicatezza per suscitare il desiderio, sovente represso, è anche il modo di dar respiro alla propria anima oltre gli angusti ed agitati ambiti quotidiani, verso grandi orizzonti che evocano la Natura, l’infinito.

La cultura moderna tende a persuaderci di poter tutto sapere e tutto dominare. La ragione umana sembra aver perduto il senso della propria misura e ha in qualche modo contaminato con la sua pretesa d’onnipotenza anche l’ambito delle arti visive, dove è sempre meno vissuta ed accolta la presenza del Mistero.

E’ proprio il Silenzio interiore che può dilatare l’anima sino a renderla capace d’accogliere il silenzio della Natura e di tutti quei luoghi dell’anima che ci riportano ad essa. La scomposizione formale nelle opere di Marino Iotti non è mai violenta. Nelle sue geometrie smussate e leggere nella scelta di tonalità eleganti talvolta velate e trasparenti che lasciano intravedere segni più rudi. In questo gioco di colori linee e forme sembrano emergere primitive figure antropomorfe, talvolta ancestrali graffiti. Queste opere continuano un originale ricerca nell’affascinante dimensione dell’informale.

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