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Vasco Ascolini

C’è un fotografo italiano che è l’unico, insieme a Cartier-Bresson, di cui abbia scritto sir E.H. Gombrich, le cui fotografie sono state definite “eccezionali” da F. Zeri, che è Cavaliere delle Arti e delle Lettere della Repubblica Francese. Eppure, il motto nemo propheta in patria gli calza a pennello, perché in Italia resta pochissimo conosciuto. Si chiama Vasco Ascolini ed è nato a Reggio Emilia nel 1937.

Negli anni Settanta Ascolini partecipa alle lezioni dell’università di Parma, dove si riscopre la fotografia americana e gravitano personaggi come Mulas, Veronesi, Ghirri. Quando inizia a collaborare stabilmente con il teatro municipale della sua città, parallelamente al lavoro di commissione intraprende un percorso di confronto tra il linguaggio della fotografia e quello del teatro, e muovendosi sulla scorta delle riflessioni teoriche che proprio Mulas aveva svolto su questo tema, anticipando le Verifiche, Ascolini ne sancisce l’irriducibilità. Tuttavia, proponendo una critica del complesso concetto di “vera fotografia di teatro” espresso da Mulas come punto di massimo avvicinamento dei due linguaggi, perché pur sempre inadeguato, Ascolini ricrea completamente l’evento scenico. Le fotografie di uno spettacolo di Lindsay Kemp del 1979 sono definite da H. Gernsheim «superbly expressionist», e sono il punto di partenza di uno stile del tutto personale e inconfondibile. Forzando le possibilità del mezzo, spinge la grana della pellicola, estremizza i toni del bianco e nero, avvicina i corpi con l’obiettivo e applica ad essi tagli inaspettati, lasciando a un nero assoluto gran parte della stampa. L’istinto dello scatto e la riscrittura in camera oscura si influenzano reciprocamente, dando vita a immagini di un grande equilibrio formale giocato sulle asimmetrie.

Il soggetto di queste fotografie di Ascolini è sempre l’uomo, non qui inteso come espressione metaforica della condizione umana, bensì come individuo che, svolgendo il ruolo di attore sul palcoscenico, si realizza fisicamente. Non è un caso, perciò, che Ascolini si sia dedicato alla danza e alla mimica, le arti sceniche in cui viene meno la parola e tutto è lasciato al corpo. In queste immagini, attraverso l’occupazione della stampa fino ai margini da parte delle figure, l’uomo domina lo spazio fotografico e se ne fa misura, trasfigurandosi. Il nero che ad esso si oppone lo definisce ed esercita anche un ruolo psicologico percettivo, fondamentale dal punto di vista della dinamica visiva. Su tali figure, tuttavia, l’erosione dei mezzitoni e la fusione, nel nero, del fondo con le ombre genera anche un’ambiguità tra corpo vivo e statua che cita la poetica di Man Ray.

Verso la metà degli anni Ottanta il rapporto tra Ascolini e il teatro si esaurisce, e il fotografo inizia a dedicarsi a un soggetto del tutto differente: l’architettura e la statuaria storiche. La cesura però è solo apparente. Gli stilemi del teatro vengono trasposti su pietre e marmi, sale e giardini, inquadrati in modo inusuale e affondati in neri la cui profondità è liberata dalla piattezza prospettica. Nella interpretazione che Ascolini ne dà interviene una influenza di capitale importanza, quella di Giorgio de Chirico e della Metafisica. Pur restando fedele alla realtà e alle caratteristiche intrinseche con cui il mezzo fotografico si rapporta ad essa, egli riesce a restituire in queste immagini le atmosfere e le sensazioni generate dai dipinti del grande pittore e da lui stesso teorizzate nei suoi numerosi scritti. Nei luoghi di Ascolini la figura umana scompare, e, capovolgendo l’ambiguità di alcune sue foto di teatro, ora sono le sculture ad apparire umane con sottile artificio, facendo capolino da dietro una parete o mostrando la propria silhouette; tutto è «calmo e silenzioso», ma quest’atmosfera convive con un’inquietudine sottile. Anche enigmatiche combinazioni di oggetti, spesso raffigurate da de Chirico, sono colte nella realtà da Ascolini in modo straniante e, come ha scritto A. Scharf, «se guardassimo i soggetti di Ascolini dal vero, potrebbero sembrare completamente diversi da come appaiono nelle sue fotografie». Se per la macchina fotografica è naturale isolare gli oggetti o ricontestualizzarli, non comune è la capacità di smarrirne il senso e la funzione per tradurli in qualcosa d’altro, di nuovo, ricrearli.

Anche i neri ampi e assoluti, l’elemento stilistico probabilmente più caratterizzante del fotografo reggiano, pur essendo formalmente distanti dalla chiarità della Metafisica sono qui funzionali alla stessa logica: nascondendo una parte della realtà inquadrata, spesso in modo forzoso, accrescono la sensazione di disagio per ciò che non ci è dato di vedere, per un’assenza non dovuta – così come già succedeva in molte fotografie di teatro –, per quel qualcosa che sembra voler sfuggire alla nostra percezione. È lasciando la porta del reale socchiusa che Ascolini ravviva la nostra capacità immaginativa e ci spinge a scavare nell’inconscio e nella memoria.

Fotografie disponibili

Copia unica
stampa inkjet su carta infinity canson baryta photographique II

Teatro Kabuki

galleria 13 vasco ascolini - tesoro vivente

Nel 1981 una delle più importanti compagnie teatrali di arti teatrali giapponesi di Tokyo si è esibita in un tour Europeo facendo tappa anche in Italia al Teatro Romolo Valli di cui Ascolini era fotografo ufficiale. Ascolini fu l’unico fotografo ammesso a fotografare i segreti delle arti del teatro giapponese frutto di secoli di tradizione tramandati di padre in figlio. Con i suoi profondi neri Vasco Ascolini ha catturato l’anima di questi artisti nel tentativo di rubarne i segreti.

Onnagata

On’nagata personaggio del teatro kabuki uomo che si trucca da donna in bianco
Un onnagata (女方 “a forma di donna”) è un attore di sesso maschile che interpreta ruoli femminili nel teatro giapponese Kabuki
Il teatro Kabuki moderno, composto da cast di soli attori uomini, era originariamente conosciuto come yarō kabuki (kabuki maschile) per distinguerlo dalle sue prime forme. All’inizio del XVII secolo molti teatri Kabuki avevano cast di sole attrici (onna kabuki), alcune delle quali interpretavano se necessario anche ruoli maschili.
La pratica dell’onnagata era diffusa anche nel Wakashū kabuki (ragazzo kabuki), forma teatrale nata nel 1612, in cui un cast composto interamente da giovani uomini affascinanti interpreta sia ruoli maschili che femminili, spesso con temi erotici.
Gli onnagata e i wakashū (o wakashū-gata) erano oggetto di apprezzamento sia del pubblico femminile che di quello maschile e spesso si prostituivano. I cast di soli uomini diventarono la norma dopo il 1629, quando le donne furono radiate dal kabuki, a causa della forte prostituzione femminile e dei violenti litigi tra i clienti che discutevano per i favori delle attrici. Questo provvedimento non risolse comunque il problema, visto che anche i giovani attori (wakashū) erano ferventemente ricercati dai clienti.

“Chiesi il permesso di fotografare da vicino l’Onnagata e lo ottenni: l’Onnagata che recitava a Reggio era il quarto o il quinto della sua famiglia che interpretava quel ruolo, tramandato di generazione in generazione.
Mi recai nel suo camerino; lui arrivò e subito notai che non aveva nulla di ambiguo, anzi aveva una barba scura anche se appena rasata. Entrò la truccatrice, lui si tirò giù il kimono e lei cominciò a stendergli la biacca bianca sul volto e sulla nuca; terminato il suo compito, lei uscì. A poca distanza da lui, che se ne stava davanti a uno specchio, misi l’obbiettivo di 85 mm, e mentre lui si truccava e iniziava la metamorfosi da uomo a donna, io lo fotografai ripetutamente. Nel tipo di inquadratura volli restituire l’ambiguità che noi associamo alla figura femminile, che sempre ci intriga e spesso ci sfugge.”

Arti del teatro giapponese

Teatro Danza

Sculture e musei

 

Architetture

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Parigi, Louvre, Nike 2003

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Vasco Ascolini, Cimitelo Monumentale di Staglieno, Genova

 

Sculture in movimento

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Sculture in movimento

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Vasco Ascolini

Deposito Sculture

DEPOSITO FIGURE è un progetto inedito commissionato nel 1996 dal Ministero della Cultura francese. Ascolini viene chiamato a fotografare le centinaia di sculture rimosse dalle piazze, strade e palazzi parigini e riposte in questo emorme deposito a Yvri, una vecchia officina per il sollevamento delle acque della senna, in attesa di restauro. Tutti gli scatti sono realizzati a pellicola, senza il supporto di illuminazioni artificiali ma solo con la luce naturale che entrava dai lucernari della copertura; fotografa in due diversi periodi dell’anno, primavera e autunno.

Racconta l’artista: “ Quando mi portarono al deposito il curatore mi fece attendere davanti ad un enorme portone in ferro che scorreva su rotaie. Quando venne aperto vidi, a meno di un metro da me, una marea di sculture che sembrava un popolo prigioniero in attesa della liberazione. Subito il mio pensiero è andato indietro nel tempo a quando ancora bambino osservavo dal fienile della mia casa il campo di concentramento di Fossoli e tutti gli ebrei prigionieri al suo interno. Il ricordo è scolpito così vividamente nella mia memoria che le rotaie del portone mi sono sembrete quelle del treno che portava i vagoni bestiame dritti dentro il campo e le sculture mi sono parse prigionieri silenzioni accostati gli uni agli altri, avvolti in drappeggi di pluriball, ed è così che le ho rappresentate.”

Biografia:

Vasco Ascolini nasce a Reggio Emilia il  10 maggio 1937, dove vive e lavora . Fotografa dal 1965. Dal 1973 al 1990 si è occupato di fotografia di teatro quale fotografo ufficiale del Teatro Municipale “Romolo Valli “ di Reggio Emilia.

Sue fotografie di genere teatrale si conservano presso il Metropolitan Museum di New York, il MOMA di  N.York (departement Performing’s Arts) il Guggenheim Museum di New York ed in tanti altri Musei di USA, Europa ed altri Paesi.Già dai primi anni ’70 si interessa e fotografa i Beni culturali e i luoghi, come i Musei,  dove si conserva e si espone l’Arte.

Nel 1985 per le sue fotografie di spettacolo gli viene organizzata una grande mostra antologica nei locali espositivi del Lincoln Center di New York.Nel versante dei “beni culturali”viene incaricato di fotografare dai grandi Musei francesi quali il Louvre, il Rodin ,il Carnavalet etc.

Pur continuando a stampare ed  esporre queste immagini, già dalla fine degli anni ’70 inizia ad occuparsi di fotografia legata ai beni architettonici e museali, sempre conservando la sua “cifra al nero” che lo distingueva già nelle riprese teatrali.Negli anni ‘ 80,anche in questo nuovo genere, gli vengono conferiti incarichi istituzionali , primo fra tutti quello di fotografare la città di Aosta. Ogni incarico sarà svolto mantenendo una visione assolutamente personale e senza condizionamenti

Importantissimo poi l’incontro con Michèle Moutashar che, conferendogli un incarico per fotografare Arles ed esponendolo nel 1991 ai Rencontres gli da una visibilità internazionale anche in questo nuovo genere.Riceve la Grande Medaglia della Città di Arles.

Nel 2000 espone alla grande Mostra “D’APRES  L’ANTIQUE” al Musèe du  Louvre che mostra in una collettiva per la prima volta la “fotografia” in quanto tale. Sempre nel 2000 riceve dal Ministero della Cultura Francese la nomina a “Chevalier de l’Ordre des Arts et des Lettres”.

Nel 2007 la Provincia di Reggio Emilia gli  dedica una mostra retrospettiva nella sua città, Reggio Emilia, a cura e con testi  di Sandro Parmiggiani e Fred Licht. Nell’occasione viene stampato un catalogo per le edizioni SKIRA

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Deposito sculture – Parigi

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Fotografie su richiesta disponibili in Archivio VA

Intervista a Vasco Ascolini

Senza Judo e senza Zen non sarei mai diventato artista

“Il bianco e il nero istintivamente li preferisco al colore…dal bianco puro al nero intensissimo, sono la mia “tavolozza”.

Cos’è per lei l’arte contemporanea?

Per me l’Arte contemporanea è tutto ciò che viene creato dagli artisti nel momento del loro passaggio in questo territorio di creatività. Viene determinata dalla condivisione di gruppi di artisti geniali che hanno idee e ideali condivisibili tra di loro. Poi naturalmente esiste la grande massa di altri creativi minori che ne seguono le tracce. Faccio un esempio scrivendo del geniale artista Yves Klein, francese, nei primi anni del secolo scorso (aprile 1922 – giugno 1962). La sua comparsa indicò nuove strade da percorrere: fu il precursore della Body Art che ancora oggi è frequentata da personalità artistiche come la grande Gina Pane. In ogni suo periodo Klein fu dirompente. Nouveau Réalisme, Arte Concettuale, arrivando così ad una nuova Arte contemporanea. “Sposò” la Filosofia Zen, appresa negli anni 1954/55 nel Tempio dell’Arte marziale Kodokan a Tokio in Giappone. Seguiva i dettami Zen dello Shintoismo e del Buddismo. Lui scrive che a farlo artista fu questo periodo filosofico. La sua arte contemporanea, e quella dei suoi sodali come Arman, Spoerri etc., fece scuola. La Fotografia ne fa parte.

Cos’è la bellezza?

La bellezza è quella emozione che ognuno di noi prova davanti a qualcosa o qualcuno che lo illumina di una Luce unica, mai vista prima.

Come nasce il Maestro Vasco Ascolini?

Nasce male, dal momento che era in arrivo la Guerra mondiale. Era il 1937. Fin da piccolo ero preda a malattie poi moltiplicatesi nella carestia della guerra. Persi tre anni di scuola elementare, due dei quali sfollato in campagna dai cugini a Carpi, Modena. A pochi metri dalla casa c’era il campo di concentramento e smistamento di Fossoli per i campi di sterminio in Polonia per gli Ebrei. Ho visto quello che non avrei dovuto da una finestrella che guardava dentro a quel luogo di morte. Ricordo che mi segue sempre. Quindi feci le elementari e le medie con tre anni in più dei miei compagni. Alle scuole medie – giocando a calcio dove ero molto bravo – mi fermò una pleurite e se ne andò un anno e mezzo dopo; fui mandato dal Sanatorio di Reggio Emilia, a quello di Castelnovo Monti. Alle magistrali ero scoraggiato, ero più vecchio di tutti di tre anni…fui bocciato, non ho mai capito la matematica e la geometria… Poi c’è stato il servizio militare dove ho fatto il sottufficiale istruttore alle nuove reclute. Lì decisi che dovevo darmi un’istruzione e cominciai a leggere, sistematicamente, come se fossi ancora a scuola. Anzi di più.

Secondo lei è andato perso qualcosa a causa della frenesia di oggi? Una volta gli artisti si incontravano, si confrontavano in luoghi di cultura, oggi grazie o a causa dei media può esserci maggior individualismo e minor confronto?

Assolutamente sì. Si è persa la capacità di fare gruppo, I Vociani a Firenze al Caffè delle Giubbe Rosse, al Caffè Rosati di Roma, al Caffè de la Rotonde e a le Dõme a Parigi, dove i surrealisti si misuravano tra loro, facevano risse, ma poi bevevano insieme e parlavano d’Arte. Oggi i gruppi che esistono sono solo di amatori in tutte le discipline. Chi emerge si tiene vicino qualche allievo, uno o due; io ora ne ho uno, una ragazza di 50 anni, Anna Maria Ferraboschi. Il primo, Cesare Di Liborio, è diventato più bravo di me.

La fotografia di teatro ce ne può parlare brevemente?

Fu il mio passaggio al professionismo. Tornato al Comune, al teatro reggiano avevano bisogno di un fotografo che non solo fotografasse gli spettacoli, ma anche lo spirito stesso dei momenti di cultura, come ad esempio, l’arrivo delle scenografie alla porta carraia, il modo con il quale gli oggetti venivano lasciati in un disordine che Andrè Breton e i surrealisti avrebbero amato. Ho chiamato questo mio lavoro “La finzione iniziata”.

Come mai ha scelto come forma espressiva il medium fotografico? Come mai il bianco e il nero?

Perché non riuscivo a dipingere e nemmeno a disegnare o scolpire e quindi pensai alla Fotografia creativa a tempo pieno. Accettai e fu per me il periodo più bello e importante della mia vita. Entrai, nei 20 anni di lavoro (1971/1991), in simbiosi con quell’Arte che stava nascendo vicino alle altre ormai conclamate. La Fotografia era già frequentata da mio fratello maggiore da lui mi feci prestare il suo apparecchio fotografico. Partii per il Po, sulla riva sinistra reggiana guardando alla fonte, applicai al mio fotografare una figura retorica “ pars pro toto”, che mi ha poi seguito per tutta la vita. Una parte per il tutto. Selezionai, fotograficamente, il letto del fiume in secca e ne ricavai delle astrazioni materiche. Vinsi subito un concorso. Il bianco e nero è perché, istintivamente, lo preferisco al colore…dal bianco puro al nero intensissimo, è la mia “tavolozza”.

Quale incontro con personaggi di rilievo l’ha maggiormente toccata e quale incontro si porta maggiormente con sé?

L’incontro con Ernst H. Gombrich et Jascques Le Goff. Li ho visti andarsene nel mio intimo, prima Gombrich poi Le Goff. Prego ancora per loro, anche se so che non erano credenti di nessuna religione. Porto maggiormente con me l’incontro con Gombrich, perché l’ho frequentato maggiormente. Venne in Italia 4 volte e non mancava mai di telefonarmi affinchè ci incontrassimo. Ho ascoltato anche la sua ultima conferenza, su Pico della Mirandola, una lectio magistralis davanti ai massimi specialisti di quel personaggio. Tutti in piedi ad applaudirlo, una vera standing ovation…. Gombrich scrisse solo due testi fotografici, uno per Cartier Brésson e uno per Vasco Ascolini.

È affascinante il suo rapporto con il Giappone e con le arti marziali di cui è cintura nera, ha voglia di raccontarci qualcosa?

A Reggio Emilia, da un gruppetto di Judo amatori fai da te, prese vita una palestra vera e propria fondata da un tedesco che era di passaggio nella nostra città e che in Giappone aveva appreso questo tipo di Arte. Gli occidentali lo hanno fatto diventare uno sport, ma il Judo filosofico come quello di Yves Klein è Danza, è Teatro. Il Judo si regge sui i Kata dove si apprende il senso della levitazione, della capacità di vincere la forza di gravità, di farsi vuoto davanti a un attacco e creare il vuoto dietro al tuo nemico, il salto nel vuoto… da molto in alto, verso il terreno… malleabilità e cedevolezza. Io sono cintura nera II° dan, istruttore della Federazione Nazionale Italiana.

La rivista si chiama Quid Mgazine perché vuole indagare quella scintilla che rende unica una cosa, lei dove lo intravede il quid in un suo lavoro o nella vita?

Il “Quid” nella mia vita è stato tutto quanto mi ha contrastato, poca salute e poca possibilità di studiare. Questa situazione ha reso il mio Quid fonte di energia e di intolleranza verso chi voleva mettere tra me e il successo un “muro”. Pur in un altro campo della cultura mi sono comportato come la poetessa Emily Dickinson. Clausura sì, ma non sconfitta.

La luce, quindi il visibile, l’apparire e l’apparenza. Che connotazione hanno nella sua vita. L’apparire e l’apparenza sono elementi positivi o negativi. Oggi viviamo in un mondo sempre più rivolto all’apparenza, alla ricerca della luce come luce della ribalta lei cosa ne pensa al riguardo?

Per me l’Apparire è positivo, a differenza dell’apparenza che è negativa e oggi, in effetti, tutti cercano l’Apparenza e l’Effimero. Io no certamente.

Libri disponibili

Vasco Ascolini - Fotografia

Libro di memorie in cui Ascolini racconta gli incontri con grandi personaggi della storia dell’arte, artisti, critici, curatori e grandi collezionisti internazionali nell’arco di tutta la sua carriera

10 euro – signed

Vasco Ascolini - Low Tone

Raccolta di fotografie teatrali 

20 euro – signed

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